Lo stage è un’esperienza comune per tutti gli studenti, non solo nel Gap Year.

Nella vostra ricerca, e nel fare le vostre scelte, anche in relazione ai costi da sostenere, occorre ricordare quali sono gli obiettivi di uno stage (o internship che dir si voglia…stage si pronuncia alla francese, se lo pronunciate all’inglese significa palcoscenico).

Perché lo fate?

Lo fate innanzitutto per voi, per capire se un settore vi interessa, se può essere l’ambito dove avviare e condurre la vostra vita professionale, e lo fate per il cv, per essere più competitivi nelle selezioni accademiche e di lavoro che dovrete affrontare. A 18 anni c’è chi ha (o meglio pensa di avere) le idee chiarissime su quello che vorrebbe fare nella vita. Altri invece sono ancora incerti, non sanno scegliere fra varie strade, sono combattuti fra il cuore (la propria passione) e il cervello (cosa “conviene”), magari con ulteriore confusione aggiunta da genitori che, in perfetta buona fede, spingono in una direzione o l’altra.

Per tutti, uno o più stage sono utilissimi per capire cosa si vuole. Chi “non ha idea” può esplorare le opzioni, trovare la sua strada e orientarsi così anche nella scelta accademica, evitando di imboccare vicoli ciechi. Per questo, sostengo, il Gap Year non è un anno perso ma un anno guadagnato. Perché intraprendere un percorso accademico e scoprire poi che non è quello che vogliamo porta ritardi maggiori (con tutti i costi relativi). Come stagisti è ovvio che avrete una prospettiva limitata, sarete nel “retrobottega” e non nella stanza dei bottoni, ma a parte il lavoro specifico che sarete chiamati a fare, potrete capire molto dell’azienda, del settore, delle persone che ci lavorano, dei meccanismi prevalenti. Uno stage serio, che non sia un semplice trucco per avere manodopera gratis, sarà strutturato per farvi cogliere un po’ del funzionamento generale dell’azienda.

Ovvio che molto dipenderà anche da voi. Se create empatia, mostrate interesse e capacità è più probabile che chi lavora con voi e attorno a voi vi dedichi del tempo (tempo regalato, ricordate sempre!) per spiegarvi qualcosa. Semplicemente vivendo all’interno di una azienda, capirete comunque molte cose. La cultura aziendale è qualcosa di molto concreto che filtra a tutti i livelli e connota fortemente le diverse realtà. Fare il programmista regista in Rai è molto diverso che farlo in Mediaset. Ad esempio, in una azienda pubblica un qualcosa che sia anche molto vantaggioso, ma che possa creare problemi a livello mediatico, anche in modo palesemente strumentale, è considerato un rischio da evitare assolutamente. Non importa se poi non ci sono conseguenze vere e se si ha ragione. Il semplice tweet di un senatore manda in fibrillazione tutta l’azienda, scatenando un grande meccanismo interno di inquisizione e ricerca del perché e percome. Nel privato governa su tutto il calcolo economico, prevale il concetto che “è più facile ottenere un perdono che un permesso”. Se si commette una infrazione a vantaggio dell’azienda, se la sanzione è (come spesso accade) minore del beneficio raggiunto, il caso si chiude. Il diverso dna aziendale si sente fino alle attività più banali. Anche lavorare in Apple è molto diverso che lavorare in Ibm o in Microsoft. I settori con alta incidenza di ingegneri hanno modalità molto diverse da quelli dove prevalgono le figure creative o giuridico/amministrative. Può essere molto interessante essere circondati da artisti, conversarci in pausa pranzo, ma se il vostro lavoro dipende dal loro, ad esempio, perché dovete stampare e rilegare le loro creazioni, e vi consegnano alle 19 quello che sarebbe dovuto arrivare alle 16, magari, scoprirete che è meglio lavorare con persone più noiose e affidabili e per l’estro, il genio e sregolatezza, vi attrezzate da voi, fuori dal lavoro.

È questione di gusti e affinità, appunto, non esiste giusto o sbagliato, ma fino a che non provate non potrete saperlo. Per altro verso, anche se pensate di avere le idee chiarissime, un periodo di prova diretta potrà confermare o smentire nelle vostre convinzioni. Spesso abbiamo, di una attività, di una azienda, un’immagine e una opinione costruita da testimonianze di seconda e terza mano, dalla comunicazione della stessa azienda, dai media e a volte la realtà potrà rivelarsi molto diversa. Io mentre facevo l’università, ad esempio, avevo della revisione (il lavoro degli auditor) una immagine non positiva: compiti ripetitivi, noiosi come coloro che vi lavoravano. In una presentazione in università il rappresentante di una di queste società dipinse un quadro molto diverso e interessante: conoscerete settori diversi, approfondirete il funzionamento delle aziende in modo completo, non limitato a un solo reparto ecc. Per questo, intrigato, ho fatto uno stage in quel settore, a Birmingham e… be’, in quel caso si rivelò giusta la mia prima impressione!

Se siete convinti di quale strada prendere (voglio lavorare in finanza, in pubblicità, nel web, in qualunque settore…), cercate di fare un’esperienza diretta il prima possibile, per sicurezza! Ovviamente imparerete anche qualche cosa del mestiere, ma non è certo quello il punto più importante. Considerate infatti che stiamo parlando di una esperienza fatta PRIMA di iniziare l’università. Vedrete un po’ come funzionano le cose e darete una mano non più con le proverbiali fotocopie, ormai obsolete, ma nella verifica e inserimento di dati, nell’aggiornamento di siti web, nella gestione dei social, nella lavorazione di foto e video, in tutta una gamma di lavori pratici, in ricerche web. Più importante è l’esperienza che farete, probabilmente per la prima volta, di un ambiente di lavoro con le sue regole scritte e non scritte: gerarchia, relazioni, dress code ecc. Uno stage arricchisce anche il vostro curriculum, ma la sua efficacia dipende da alcuni fattori. Chi leggerà il vostro cv, riceverà dei segnali. Quali? Cosa comunica di voi lo stage che fate?

  • Il vostro impegno rispetto alla formazione e alla professione: avete scelto di investire quel tempo lavorando e non aggiornando il vostro Instagram o abbronzandovi in spiaggia. Non solo siete disposti a questo sacrificio, ma a 18 anni sapete anche che è importante farlo. Siete già così un passo avanti ai vostri coetanei.
  • La vostra capacità di superare selezioni: se ottenete uno stage in una azienda ambita e competitiva, questo indica immediatamente, prima ancora che vi incontrino, che qualcun altro, qualificato, ha già preferito voi rispetto ad altri. Per questo certi nomi sul cv fanno più effetto di altri. Se fate uno stage in Google, tutti coloro che leggeranno poi il vostro cv sapranno che voi avete superato le selezioni, lunghe e competitive, del gigante di Mountain View. Vi si attacca una etichetta di qualità.
  • La vostra intraprendenza e maturità se, per ottenere e svolgere lo stage, avete dovuto fare da soli una serie di cose: ricercare l’azienda, proporvi, convincere, magari organizzare gli aspetti burocratici o quelli logistici.
  • Il vostro interesse rispetto a un determinato settore. Quando in futuro il selezionatore della Lancome riceverà 100 cv con 100 cover letters in cui, ovviamente, tutti dichiareranno il grande interesse per l’industria cosmetica (a parte coloro che si dimenticheranno di editare il file dal precedente mailing alle aziende agro-alimentari…), uno stage nel settore è un perfetto supporto alle vostre affermazioni.
  • L’aver conosciuto un ambiente di lavoro e averne interiorizzato le regole (il consiglio è quello di farsi fare a fine stage una lettera che descriva la vostra performance in modo abbastanza dettagliato).

Per questo, come vedremo, metto in guardia circa alcune esperienze internazionali altisonanti, attraverso agenzie specializzate, che ormai, anche da noi, sono state “sgamate” per quello che spesso sono: costosi business in cui, pagando, chiunque può vantare esperienze in una società inglese di pubblicità o in una banca sudafricana. Per contro, l’esperienza avrà tanto più valore quanto più sarà stata costruita da voi. Ma entriamo adesso nel merito di stage e internship.